
Ci sarà qualcosa di vero nell’ultimo gossip dell’estate, che metterebbe in stretta correlazione l’improvviso balzo di carriera di un belloccio televisivo con una sua presunta liason con un’illustre sorella fresca di separazione? O è uno dei tanti, troppi, rumors estivi destinati a sgonfiarsi come un ballon d’essai?
Del resto, non sarebbe la prima volta che qualcuno viene “messo in mezzo” del tutto incolpevole, o persino accusato delle peggiori nefandezze, senza uno straccio di prova. Soprattutto nel mondo dello spettacolo, le strade sono lastricate di codesta merda che, a volte, ha contribuito a distruggere carriere, come nel caso della nomea di jeattatrice affibbiata ingiustamente a Mia Martini.

Ma del concetto di calunnia parleremo in altra sede e, in attesa di ulteriori chiarimenti (o di irritate e secche smentite da parte di ambienti istituzionali), vogliamo tuttavia prendere spunto da questo gustoso – ancorché ancora tutto da verificare – pettegolezzo per affrontare un altro problema antico come il mondo: il mignottismo trasversale.
O, come si potrebbe dire al giorno d’oggi, fluido.
Ovvero quel diffusissimo (mal) costume che, in questo sempre più sciagurato Paese – soprattutto in Enti pubblici o comunque a controllo politico – permette a persone di entrambi i generi di fare carriera a prescindere dalle qualità professionali o dalle capacità tout-court, in base meramente a meriti di concubinaggio.
Insomma, come si diceva una volta, nella società sessista, “dandola via come se non fosse la propria”.
Attitudine a cui devono la carriera – nei decenni, ma anche nei secoli – fior di artiste che sarebbe lungo e superfluo elencare e che si sono gettate e ancora si gettano all’assalto delle lenzuola gridando “Carica!”, con buona pace del Me Too.
Certo, non sono mancati anche i ricatti alla “o me la/lo dai o scendi” e le cronache recenti sono piene di denunce in tal senso, ma il costume inverso è altrettanto diffuso e da che mondo è mondo, infatti, c’è sempre un ministro, o un sottosegretario, o un politico spurio, ma anche qualche direttore generale e capoprogetto, o altri grossi papaveri, pronti ad alzare la cornetta del telefono (o scrivere un appunto quando Meucci non c’era) per “segnalare” quella tal ballerina di belle (e a volte scarse) speranze, sua fidanzata o amante e provetta soprattutto nella “danza del materasso” (o raffinata flautista), a cui trovare una “più che dignitosa” collocazione – a seconda dell’altezza del famoso “papavero” – nel rutilante mondo dei suoi sogni. O quel tal ballerino, se il grosso papavero di cui sopra predilige la compagnia maschile a quella muliebre.
Specifichiamo per gli analfabeti funzionali che si è parlato di ballerini e ballerine solo per la battuta sulla danza del materasso (l’assolo di flauto è generalmente compreso nell’esibizione), ma le categorie interessate sono numerose: attori e attrici, cantanti, talvolta registi e registe, giornalisti e giornaliste… Nessun settore è immune.
E se un tempo, oltre alla raccomandazione, per lavorare ci volevano anche capacità e talento, oggi questi due elementi sono considerati optional superflui. Almeno a giudicare dalle mute di cani e di “incapaci di tutto” che ci dobbiamo sciroppare – fin troppo spesso e molto malvolentieri – davanti alle telecamere e alle cineprese (e a volte anche dietro).

Ai giornalisti e alle giornaliste viene oltretutto richiesto il benefit accessorio di riferire le notizie non che ci sono e come sono, ma che vuole e come le vuole la parte politica o economica referente. La famosa frase di Bruno Vespa, direttore del Tg1 durante Tangentopoli: “Il mio editore di riferimento è la DC”, ha fatto scuola!
Una volta infranto il cosiddetto soffitto di cristallo, con l’ingresso delle donne nella “stanza dei bottoni”, le cose non sono migliorate affatto.
Ben lungi dal voler finalmente dimostrare quanto il genere femminile sia migliore di quello maschile, moltissime di queste signore, appena strette in mano le “leve del comando”, hanno infatti iniziato a comportarsi – né più né meno – come i “colleghi uomini” e questo è andato a giovamento unicamente di quei giovanotti di belle speranze che erano rimasti fuori dal mercato in quanto maschi eterosessuali.
Ecco così proliferare improvvisamente sul piccolo e grande schermo – o nelle immediate vicinanze – anche i toy boys e gli gigolò, amanti, compagni e/o concubini di questa o quella “papavera” che – unicamente per questo merito – si ritrovano in posti di responsabilità. Anche a loro, naturalmente, non è minimamente richiesto di essere capaci di fare il mestiere che vogliono a tutti i costi fare e vanno così ad ingrossare le già fin troppo numerose fila dell’esercito di cani e dei somari che ha da tempo espugnato i luoghi dove un tempo trionfavano le arti e la cultura.
E meno male che non pretendono di fare i cardiochirurghi!
Il cerchio del Mignottismo si è finalmente chiuso e pazienza per quei pochi bravi e onesti che vorrebbero lavorare (e magari fare carriera) senza prostituirsi nel corpo e nell’anima. O in entrambi.